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4 novembre 2008

Calcio, tifosi senza tessere

Arriva la tessera del tifoso. Ma il tifoso non appartiene a una categoria certificabile con un documento. Cambiare il calcio senza capire lo spirito che anima chi riempie gli stadi appare impresa titanica. Chi occupa le stanze dei bottoni dovrebbe decidersi a chiarire, a se stesso, questo concetto.
Arrivata al nastro di partenza la “tessera del tifoso”. E’ stata infatti ufficialmente presentata “Cuore Rossonero”, ovvero quella lanciata dal Milan di Galliani. Paradigma metropolitano della tipologia di un documento che dovrebbe, secondo la fervida immaginazione dell’Osservatorio, diventare forse obbligatorio per quanti hanno ancora voglia di andarsi a vedere il calcio dal vivo. Si tratta di un documento magnetico che consente, tramite un chip, l’identificazione del possessore. Un aggeggio che potrebbe diventare indispensabile per entrare in quelle inutili cattedrali del deserto nelle quali sono state trasformate gli stadi italiani.
Viene da chiedersi se certe persone sappiano davvero cosa significhi essere tifosi. Tanto più quelle che avrebbero l’onere (l’onore) di stabilire le linee guida del “nuovo calcio” che si vuole imporre dalle loro algide stanze dei bottoni scollegate dalla realtà quotidiana. E che dovrebbero, in primo luogo, avere contezza della tipologia di utilizzatori del prodotto che intendono così pervicacemente trasformare in qualcosa di amorfo che ne snatura i connotati.
“Si è tifosi della propria squadra perché si è tifosi della propria vita, di se stessi, di quello che si è stati, di quello che si spera di continuare a essere. E’ un segno, un segno che ognuno riceve una volta per sempre, una sorta di investitura che ti accompagna per tutta la vita, un simbolo forte che si radica dentro di te, insieme con la tua innocenza, tra fantasia, sogno e gioco”, ha osservato con grande acume il poeta Giovanni Raboni.
”Mi innamorai del calcio come mi sarei poi innamorato delle donne: improvvisamente, inesplicabilmente, acriticamente. Senza pensare al dolore o allo sconvolgimento che avrebbe portato con sè” dichiara senza mezzi termini Nick Hornby, scrittore inglese autore del libro cult Febbre a 90.
C’è un aforisma di Blaise Pascal, “il cuore ha le sue ragioni, ma la ragione non riesce a capirle, che riassume con efficace sintesi gli imperscrutabili motivi che spingono il tifoso ad amare ciò che ad altri non parrebbe meritevole di esserlo. A legare il proprio destino, indissolubilmente, con quello della propria squadra del cuore.
“Nessuna industria della televisione sembra che gli interessi dei tifosi, ma senza l’urlo ed il movimento del pubblico il calcio sarebbe uno zero. E’ una storia di passione. Sarà sempre così. Senza la passione il football è morto. Solo ventidue uomini grandi e grossi che corrono su un prato e danno calci a una palla. Proprio una gran cagata. E’ la tifoseria che lo fa diventare una cosa importante”, sostiene John King, icona del mondo ultras, nel suo Fedeli alla tribù.
Per queste e per molte altre ragioni non può (non potrà) mai essere la banale tessera che Galliani, con la sua faccia rassicurante, cerca di promuovere a definire se un sostenitore milanista può essere definito “Cuore Rossonero”. Una vera mistificazione, a dirla tutta.
Perché essere tifoso vuol dire appartenere a una categoria dell’anima, difficile da incasellare. E, dunque, dirigere una squadra di calcio significa avere la consapevolezza di mettersi a capo di un’azienda speciale che nulla ha da spartire con altre attività imprenditoriali.
Finchè tutto ciò non sarà chiaro nella testa di chi occupa le stanze dei bottoni, e solo un soprassalto etico potrà renderlo possibile, in Italia la deriva del calcio e il vuoto degli stadi saranno inarrestabili.

Sergio Mutolo – www.calciopress.net

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