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25 novembre 2008

Il difensore della curva

A colloquio con Lorenzo Contucci, avvocato penalista, esperto della
normativa applicata al mondo degli ultras


Avvocato penalista, romano e romanista, Lorenzo Contucci è sicuramente uno dei massimi esperti della normativa applicata alla questione ultras. E grazie al suo lavoro quotidiano, può avere un punto di vista molto chiaro sulle falle del sistema, su cosa andrebbe cambiato e su quello che succede nelle curve italiane e nelle aule di tribunale. Proprio per questo abbiamo voluto intervistarlo, spaziando dalla situazione legislativa odierna, alla farsa mediatica di Roma-Napoli o alle foto “taroccate” di Bulgaria-Italia.

D. Qual è la situazione odierna della legislazione italiana contro il mondo ultras?
R. È una legislazione definita di prevenzione, ma che in realtà è di repressione. Lo strumento utilizzato è il famoso D.a.spo. (Divieto di accedere alle manifestazioni sportive, ovvero la “diffida” ndr) la cui durata è oggi passata da uno a cinque anni. Nel 90% dei casi ha l’obbligo
di presentazione alla P.G. L’anomalia è che viene applicato direttamente dal Questore, mentre altre misure di prevenzione di una certa gravità vengono proposte dal Questore e applicate da un giudice. Nel nostro caso l’intervento del giudice – spesso sommario e senza garanzie difensive – esiste solo per l’obbligo di presentazione, ma non per il divieto in sé stesso. In Inghilterra non è così: la polizia propone, il giudice decide. Senza contare che il D.as.po.
si basa il più delle volte su una semplice denuncia che altrettanto spesso finisce in un’archiviazione o in un’assoluzione, naturalmente a provvedimento scontato. Da vero e proprio stato di polizia, invece, è quella parte della legge Amato che consente di diffidare anche senza che vi sia una denuncia: il paradosso è che un soggetto denunciato può sperare nella revoca del d.a.spo. – perché ad esempio viene poi assolto nel procedimento penale – mentre un soggetto non denunciato, ma diffidato non può fare proprio nulla perché non potrà mai ottenere un’archiviazione o un’assoluzione.


D. A cosa ha portato la politica dei divieti e della disgregazione dei gruppi organizzati?
R. Ha portato alla pressoché totale perdita di colori negli stadi e una conseguente perdita di fascino delle partite stesse. I giornali per presentare il derby di Roma continuano a tirare fuori foto di archivio e dimenticano che tutto quel colore che c’era è oggi reato. In più si sono create delle frange anarchiche nel senso non politico del termine, assai pericolose perché premeditano gli scontri.


D. Quando è iniziato il “pugno di ferro” in Italia contro le curve?
R. Poiché la polizia è il braccio operativo del ministero dell’Interno, e quindi del governo, da quando lo Stato ha deciso che alcuni episodi di violenza non potevano più essere tollerati, anche in quanto amplificati dai media e recepiti in tal modo dall’opinione pubblica, con conseguenti riflessi sui governi stessi. Dietro lo slogan del “riportiamo le famiglie
allo stadio”, ampiamente fallito come possiamo vedere con i nostri stadi vuoti, si è semplicemente favorito ulteriormente il mondo delle pay per view, primo canale di introiti per le squadre di calcio, almeno in serie A.


D. Che cos’è esattamente il D.as.po.? È un provvedimento anticostituzionale?
R. È l’ordine con il quale il questore vieta a un soggetto ritenuto pericoloso di andare allo stadio, per un periodo che può andare da uno a cinque anni. Ha quasi sempre abbinato l’obbligo di presentazione alla P.G. per le partite, in casa e in trasferta, della squadra del cuore. La Corte
Costituzionale è più volte intervenuta e il fatto che la legge venga continuamente modificata sull’onda emotiva di fatti di cronaca non potrà impedire che ci si torni di nuovo. Allo stato la Corte Costituzionale ha offerto spunti interpretativi della legge dicendo come i giudici dovevano interpretarla perché non fosse dichiarata incostituzionale. C’è anche da dire che le prime pronunce sono del 1996, quando questi provvedimenti erano annuali e quindi comprimevano in modo limitato la libertà personale. Ora che sono quinquennali è auspicabile un nuovo intervento della Corte, per garantire un diritto di difesa pieno.


D. Come ci si difende da un D.as.po.?
R. È assai difficile. Quando vi è l’obbligo di presentazione, si hanno 48 ore di tempo per difendersi davanti al giudice che lo deve convalidare, ma non vi è una udienza. Si può depositare una memoria difensiva. I tempi assai ristretti spesso vanificano tale possibilità ed è quasi impossibile portare prove a discarico. Dopo la convalida da parte del Gip, si hanno
solo 15 giorni di tempo per andare in Cassazione e solo con un avvocato cassazionista. Contro il divieto di andare allo stadio, invece, si può ricorrere al prefetto, cosa quasi sempre inutile perché gerarchicamente è il superiore del questore, ovvero andare al T.a.r.. Il problema sono le
spese legali da sostenere e il fatto che – basandosi il D.as.po. su una denuncia – per aspettare di avere ragione bisogna attendere che parallelamente il procedimento penale faccia il suo corso, con i tempi biblici che sappiamo.


D. Quali sono le strutture dello stato che dovrebbero controllare i tifosi?
Da chi sono composte? Sono efficaci?
R. Presso le questure vi sono le squadre tifoserie della D.i.g.o.s., che ben conoscono le realtà del tifo organizzato. Di certo con la disgregazione dei gruppi operata dall’operazione repressiva il loro compito si è fatto più difficile per la mancanza di referenti. Poi abbiamo l’osservatorio
nazionale sulle manifestazioni sportive, che ho sempre definito – insieme con il Casm (Comitato di analisi per la sicurezza delle manifestazioni sportive ndr) – organismi inutili e da stato di polizia che contribuiscono a distruggere il tifoso da stadio e non solo i tifosi violenti. Il criterio con cui operano è analogo al concetto del buttare via il bambino con l’acqua sporca.


D. Esiste un modo per arrivare al dialogo tra i tifosi e lo stato?
R. La parola “tifosi” comprende più realtà. Per me il tifoso deve fare il tifoso e lo Stato deve fare lo Stato. Essere tifoso non dovrebbe essere una professione e quindi non ho necessità di dialogare con nessuno: vado allo stadio e mi vedo la partita.


D. Le curve sono ancora oggi il più grande movimento giovanile?
R. In parte sì. Quando lo Stato se ne è reso conto ha deciso di ammaestrarle e chi non si fa ammaestrare viene soppresso.


D. Pensi che gli ultras facciano paura per la capacità ancora oggi di aggregare?
R. Assolutamente sì. Chi ci governa non ha capito – e se lo ha capito lo ha fatto tardi – che le politiche attuate hanno radicalizzato alcune frange.


D. Quanto ha influenzato il Legislatore l’onda emotiva della morte di Raciti?
R. Moltissimo. Ancorché quella situazione sia dipesa, anche – e sottolineo anche – da una non corretta gestione dell’ordine pubblico (mi riferisco alla decisione folle di far arrivare i tifosi del Palermo a partita iniziata e non molto tempo prima), era assolutamente ovvio che un fatto
così grave influenzasse il Legislatore. È anche giusto che sia così, sebbene i veri correttivi da apportare non fossero certamente quelli poi adottati populisticamente. In quella occasione per lo meno il fatto era storicamente avvenuto e di assoluta gravità. Tuttavia il Legislatore si muove spesso prescindendo da una reale emergenza, ma sulla mera percezione di essa da parte
dell’opinione pubblica.


D. Ci puoi raccontare com’è stato montato ad arte dai media il caso Roma-Napoli?
R. Tutto è partito da una notizia falsa nata da un comunicato di Trenitalia, recepito dai media nazionali – tv, quotidiani cartacei e on line – come devastazione e sopruso. Televisivamente, sono state mostrate – sapientemente tagliate e montate – fotografie di un paio di vetri rotti
mostrati da tutte le angolazioni e i napoletani che correvano alla stazione Termini sono stati presentati come facinorosi che creavano disordini, sottacendo che stavano semplicemente correndo verso i pullman perché era già finito il primo tempo. Basta andare su Youtube per verificare come il loro comportamento sia stato senz’altro folkloristico e agitato, ma certamente non violento. Eppure è passata la notizia di stazioni e treni devastati. Per fortuna su quel treno c’erano due giornalisti austriaci che, allibiti, hanno raccontato come nulla di quello che era stato detto sui media fosse vero. Solo pochi giornalisti illuminati – come nel caso del servizio d’inchiesta di Rai News 24 – hanno dato notizia della bufala mediatica. Ovviamente dopo che il giudice sportivo aveva chiuso entrambe le curva del San Paolo e che il Ministro Maroni aveva proibito ai tifosi del Napoli tutte le trasferte, proprio nell’occasione in cui – sono parole di un giudice – avevano fatto tutto il possibile per evitare problemi. Una
disorganizzazione totale dell’evento è stata attribuita, con la solita complicità dei media, ai tifosi per coprire le responsabilità di chi gestisce l’ordine pubblico, con tanto di servizi segreti al suo interno. In un Paese che ancora non ha fatto chiarezza su Ustica, Bologna e tante
stragi impunite non mi stupisco più di nulla e sono sempre più motivato nel non votare più.


D. Cosa è successo veramente quel giorno a Roma?
R. Ho già risposto. Mi limito ad aggiungere che uno dei più seri quotidiani italiani, il Corriere della Sera, per ben due volte ha inserito delle fotografie con la didascalia “i tifosi del Napoli durante gli scontri di Roma” riferite a episodi di diversi anni fa. Mi è bastato navigare per
cinque minuti su internet per mostrare la falsità della rappresentazione. Questo comportamento non è solo deontologicamente scorretto. È ben di più, visto che influenza l’opinione pubblica e, di conseguenza, il Legislatore.


D. Sappiamo che hai difeso alcuni ultras napoletani e che sei stato criticato da alcuni quotidiani. Cosa ne pensi?
R. Ho già detto cosa penso di alcuni giornalisti che lavorano per alcuni quotidiani. Si spacciano per democratici quando uno stato totalitario rappresenterebbe, per loro, il luogo naturale di espressione. Il tifoso delinque lanciando un sasso o in molti altri modi, il giornalista delinque
dicendo menzogne basate su fatti falsi. Questo, per il sottoscritto è un comportamento criminale assai più grave del ragazzino che lancia un sasso, se non altro perché i quotidiani sono sovvenzionati anche dallo Stato: il ragazzino che lancia un sasso no.


D. E della questione Bulgaria-Italia cosa ne pensi? Anche lì gli scontri e i famigerati saluti romani sono stati una montatura. Erano tutti da parte bulgara….
R. Sono rimasto allibito. Non si tratta di essere di una idea politica o di un’altra. Si tratta di distinguere il falso dal vero. La quasi totalità dei giornali, approfittando dell’identità dei colori nazionali, hanno spacciato i tifosi bulgari pieni di svastiche per quelli italiani, che certo di
sinistra non erano ma che hanno tenuto comportamenti assai meno esibizionistici. Poiché l’onda emotiva del momento è la questione fascismo/antifascismo, il meccanismo tritatutto dell’informazione di regime ha, in modo criminale, trattato la notizia. Mi ripeto: un giudice delinque se si vende una sentenza, un avvocato se tradisce il proprio cliente e un giornalista se dice falsità.


D. Esiste un’informazione libera e corretta in Italia?
R. Solo su internet e da parte di pochi giornalisti coraggiosi, per i quali ho la massima stima. Purtroppo temo non faranno carriera, per lo meno in Italia. Se i giornali sono il cane da guardia della democrazia – come ha scritto la Corte di Cassazione – internet è il leone da guardia della
democrazia stessa. È per questo che ci sono progetti di legge per limitarne la capacità di espressione.


 di Tommaso Della Longa per il mensile “La Voce del Ribelle”

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