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15 maggio 2007

Il Ministro Melandri: «Gli striscioni torneranno»

Striscioni allo stadio? Dal prossimo anno si cambia. A sostenerlo è il ministro Giovanna Melandri che è così tornata a parlare di un tema che dall'introduzione del decreto Amato, poi tramutato in legge, ha fatto discutere i tifosi di tutta Italia: «La questione è rimasta un po' sospesa quest'anno, vedremo di ripristinarli», ha detto. Già, ripristinarli perché, di fatto, con le nuove normative lo striscione goliardico è praticamente scomparso. Colpa delle complicate procedure per l'approvazione. Oggi per far entrare qualsiasi stendardo, lo ricordiamo, bisogna far pervenire alla società la descrizione completa dello stesso entro sette giorni prima del match in questione. Il club a quel punto lo può girare al Gos che dà la sua risposta definitiva.

Un iter decisamente troppo lungo che ha portato qualche tempo fa all'ormai celebre scritta ironica dei romanisti: «A noi ci si è rotto il fax». Un iter che il ministro Melandri vorrebbe snellire effettuando i controlli direttamente all'ingresso degli stadi un paio d'ore prima della partita. Se ne riparlerà, così come si parlerà ancora di ristrutturazione degli stadi, uno degli argomenti dell'incontro di ieri tra Giovanna Melandri ed il presidente della Figc Abete. Per avere nuovi impianti ci sarà bisogno di tempi lunghi, nel frattempo a partire dal prossimo campionato si cominceranno a vedere sugli spalti gli steward, incaricati del servizio d'ordine dentro lo stadio, mentre all'esterno continueranno ad operare le forze dell'ordine. Insomma si proverà a riportare il tifoso a vedere la partita dal vivo perché «Accanto alla tolleranza zero - ha concluso il ministro Melandri - nei confronti dei comportamenti violenti, si deve pensare anche ad incoraggiare il volto corretto delle tifoserie».

12 maggio 2007

Il "diritto di resistenza all’oppressione" è legittimato dal principio di sovranità popolare

Cercare di svegliarsi dall’anestesia mediatica propinata a ciascun cittadino italiano che guardi la TV o legga un giornale (uno qualsiasi) è la vera sfida dell’era moderna.

E forse basterebbe soltanto guardarsi indietro, riconsiderare la storia del Nostro Paese e osservarla con gli occhi di un popolo, di una categoria, che sta vivendo un’emergenza democratica. Non nascondiamoci dietro i linguaggi aulici o, peggio ancora, dietro i simboli di partito: le nostre libertà di pensiero e di circolazione, i nostri "diritti inviolabili" si trovano nella morsa di una compressione che rischia di diventare irreversibile.

E questo fenomeno è tanto piu’ evidente nell’ambito che maggiormente ci appassiona, quello dello stadio, del tifo, del calcio. La settorialità di questo ambito non deve assurgere a palliativo per ridimensionare l’emergenza di cui si parla, anzi; il fatto che i meccanismi di repressione delle nostre libertà fondamentali siano così evidenti proprio in una fetta così piccola ma così importante della vita sociale, vale ad amplificare il suono della sirena d’allarme della collettività. Lo stadio ERA uno dei luoghi in cui piu’ che in altri poteva trovare esplicazione la libertà di pensiero; e adesso c’è Qualcuno che decide chi deve/può andarvi, cosa si può recare con sé, quando si deve entrare e quando si deve uscire e, cosa ancora piu’ grave, cosa si può dire/scrivere all’interno di questo luogo. E tutto ciò (anche a partire dalle diciture di talune leggi) viene spudoratamente spacciato come meccanismo assolutamente irrinunciabile per salvaguardare la sicurezza di ciascuno di noi... e mentre i signori della politica si preoccupano di come farci stare tranquilli e sicuri agli stadi(!), un poliziotto spara a braccia tese verso un tifoso (sì, verso un tifoso, non verso un ragazzo qualunque) come uno sceriffo nel Far West uccidendo in un sol colpo quel tifoso, la serenità della sua famiglia e soprattutto i barlumi di speranza democratica che questo Paese poteva ancora avere. E poi, la solita procedura: per una settimana circa prime pagine su giornali e telegiornali, accesi dibattiti nei salotti della seconda serata dei palinsesti televisivi, e poi il nulla. Anzi, il peggio: un evento così tragico, un OMICIDIO, viene vergognosamente strumentalizzato per introdurre altri meccanismi repressivi, altre limitazioni/compressioni dei nostri diritti fondamentali, cercando di farle sembrare normali, addirittura necessarie.

In sede di redazione del Progetto di Costituzione Italiana, la Commissione dei 75 introdusse al 2° comma dell’art. 50 la disposizione in base alla quale "quando i pubblici poteri violino le libertà fondamentali ed i diritti garantiti dalla Costituzione, la resistenza all’oppressione è diritto e dovere del cittadino". L’assemblea Costituente scelse di non inserire questa norma nel testo definitivo della Costituzione, ma il diritto di resistenza deve ritenersi assolutamente vigente del nostro ordinamento, malgrado il silenzio del testo costituzionale. Infatti, la scelta di non inserire tale diritto nel testo costituzionale risponde solo all’esigenza di non disciplinare preventivamente un qualcosa che, per sua stessa natura, si atteggia caso per caso, e non può essere incasellato in caratteristiche predeterminate.

Il "diritto di resistenza all’oppressione" è legittimato dal principio di sovranità popolare (asse portante dell’intero ordinamento), ne è una conseguenza inevitabile; se non fosse consentito ai cittadini di ricorrere alla resistenza, il principio di sovranità popolare rimarrebbe una formula vuota, priva di significato. Inoltre, anche qualora, per assurdo, il diritto positivo vietasse l’esercizio del diritto di resistenza, la violazione della Costituzione da parte dei pubblici poteri legittimerebbe la disobbedienza dei cittadini alle norme che vietano la resistenza, al fine di garantire e salvaguardare le libertà fondamentali violate.

Inoltre l’art. 54 della Costituzione impone il dovere di fedeltà alle disposizioni costituzionali: non quindi alle leggi singolarmente intese, ma alla Costituzione, ai suoi principi, ai diritti in essa stabiliti. Ciò significa che, in nome del dovere di fedeltà alla Costituzione, si ha il diritto/dovere di non obbedire passivamente a tutti gli atti normativi in contrasto con essa. Pertanto, quando il Governo, o il Parlamento, o qualsiasi Istituzione dotata del potere di emanare atti normativi, compiano deliberatamente atti di eversione dell’ordine costituzionale, o tentativi di repressione di diritti costituzionalmente garantiti, la resistenza è un dovere, prima che un diritto ed è sempre legittima: sia in forma individuale, sia in forma collettiva, sia in forma attiva, sia in forma passiva.

Non bisogna aver paura di esercitare un diritto. E la resistenza è un diritto, oltre che un dovere. E’ uno dei pochi strumenti attribuiti al popolo, e incontrollabile da parte degli organi statali, per garantire il rispetto della Costituzione e delle nostre libertà fondamentali.

In diversi ordinamenti europei e non, poi, la resistenza è esplicitamente prevista e assolutamente vigente:

- Dichiarazione degli Stati Uniti d’America (1776): "Allorché una lunga serie di abusi e di torti tradisce il disegno di ridurre l’umanità ad uno stato di completa sottomissione, diviene allora suo dovere, oltre che suo diritto, rovesciare un tale governo";

- Art. 2 Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino (1789): "Lo scopo di ogni società è la conversazione dei diritti naturali ed imprescrittibili dell’uomo. Questi diritti sono la libertà e la proprietà, la sicurezza e la resistenza all’oppressione";

- Art. 147 Costituzione del Lander dell’Assia (1946): "La resistenza contro l’esercizio contrario alla Costituzione del potere costituito è diritto e dovere di ciascuno";

- Art. 19 Costituzione del Lander di Brema (1947): "Se i diritti dell’uomo stabiliti dalla Costituzione sono violati dal potere pubblico in contrasto con la Costituzione, la resistenza di ciascuno è diritto e dovere".

Questo però non si dice in TV e non si scrive sui giornali.

Svegliamoci.

Lettera di un tifoso Romanista

Disoccupati sì, ma anche precari, professionisti, avvocati, ingegneri, imprenditori, impiegati, operai, autisti, panettieri, e moltissimi studenti universitari, a dispetto di quel giornalista di Repubblica grande esperto di tifo organizzato che nel corso di uno Speciale TG1 ha dichiarato: "...ma non credo che tra di loro ci sia gente che ha studiato". Povero imbecille! Poverissimi, piccoli borghesi, benestanti, qualcuno ha anche origini nobili, figli di papà, contrariamente con chi afferma che sono solo il frutto del degrado e dell'indigenza. Ridicoli presuntuosi opinionisti! Roma, Milano, Napoli, Torino, ma anche Bergamo, Treviso, Padova, Salerno, Taranto dalle metropoli alla piccola città di provincia: 100, 1000, 20.000, 50.000 e forse anche di più. Ma non erano solo una sparuta, ridicola minoranza? Chi non esce mai di casa, chi fa tanto sport, chi va in discoteca, chi non ha mai una donna e chi non sa più come tenerle a bada, chi legge i filosofi contemporanei e chi a malapena conosce la lingua italiana, belli come il sole o brutti come la fame, chi è sempre incazzato e chi c'ha una vena comica che fa invidia a Zelig, solitari e trascinatori, pacati e mansueti o violenti da non poterli guardare negli occhi. Emarginati? Sì, senza dubbio, emarginati come tutto il resto della gente o meglio estraniati da un contesto dove il sistema intero "se la canta e se la sona". L'alta finanza, le banche, la politica, il mondo dello spettacolo, tutti sul carrozzone. Eccoli lì conduttrici puttane, cocainomani, osservatori, opinionisti, conduttori pervertiti, nani e ballerine, a strombazzare sguaiati la loro inutile, inspiegabile e lautamente remunerata presenza in questo mondo... alla faccia del resto della gente che non se la gode come loro. Ebbene sì quei ragazzi, sono estranei, sono emarginati da tutto questo, anzi lo rifiutano, lo contestano apertamente. Odiano, sì odiano e disprezzano tutto questo, lo combattono e, quando possono... lo abbattono. E per questo che a loro volta sono odiati e disprezzati dal carrozzone, perché non vogliono saltarci su, stanno bene in una curva tutti insieme a cantare, in una macchina che macina chilometri a parlare, in un pub a ridere e scherzare o per la strada uno accanto all'altro affinché nessuno possa passare. Compatti eppure diversi tra loro. Non è vero, caro ennesimo emerito giornalista benpensante che hai dichiarato che "sono loro la vera casta pericolosa". Non siamo una casta, siamo i tuoi quartieri, la tua città, l'espressione del tuo popolo... quello duro... quello di cui tu, occupante a pagamento del carrozzone, fai bene ad essere preoccupato.

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