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8 gennaio 2009

Odio eterno per il calcio moderno

Torniamo a riportare articoli in cui, qualche penna illuminata del giornalismo sportivo, fa luce sulle condizioni in cui versano i nostri stadi. Lo stravolgimento delle abitudini del tifoso, prima con le pay tv e poi con le assurde disposizioni repressive, hanno creato quel mostro denominato Calcio Moderno.
Il calcio triste dei tifosi inutili
Il calcio moderno tradisce la passione dei tifosi. Li trasforma, da protagonisti, in inutili orpelli di un prodotto opaco e privo di trasalimenti. Inevitabile che la memoria torni indietro. Al calcio di una volta. Recuperarlo sarebbe forse impossibile. Tuttavia trascinarlo in questo modo verso il baratro è crudele.
Calcio moderno, trasferte vietate e stadi chiusi
Anno nuovo, vita vecchia. Il Casms, nella riunione prenatalizia del 23 dicembre 2008, non si è lasciato intenerire. Ha deciso che anche il 2009 sarà un calcio a porte chiuse. I tifosi restano accomunati da un destino cinico e baro. Vanno tenuti rigorosamente lontani dallo spettacolo dal vivo. Senza fare differenze tra la serie A e la serie D, passando per la B e per la Lega Pro.
Il Casms ha disposto la chiusura dei settori ospiti in Palermo-Atalanta, Chievo-Napoli, Foggia-Pescara, Gallipoli-Potenza, Cosenza-Vibonese (tutte gare definite ad alto rischio). Per Lazio-Juventus, in programma allo stadio Olimpico il 18 gennaio, è stata invece stabilita la possibilità di acquisto di un solo tagliando per i tifosi bianconeri. Infine, l’incontro Angri-Sant’Antonio Abate, si disputerà a porte chiuse.
C’era una volta il tifoso vero, razza ormai in via di estinzione. Quello che, il giorno prima o la mattina stessa in cui scendeva in campo la sua squadra del cuore, dava un’occhiata al tempo e al portafoglio. Rifletteva, tra sé e sé, sull’opportunità o meno di andare a vedere la partita. Alla fine, come sempre, la ragione veniva inesorabilmente sconfitta. E così il tifoso si avviava verso lo stadio, sempre e comunque, con la gioia dentro di andare a fare qualcosa di buono e di utile. Senza chiedere niente in cambio, salvo una briciola di felicità. Saliva in macchina o in treno, se si giocava in trasferta, e partiva verso l’avventura con lo spirito di un bambino. Magari portandosi dietro anche il figlioletto. Per abituarlo, fin da piccolo, ad amare le maglie sopra ogni altra cosa e a vivere la partita in diretta così come dovrebbe essere. Perché, a prescindere da ogni altra considerazione, le maglie non vanno mai lasciate sole. Accada quel che accada.
Poi ha iniziato a prevalere il tifoso per caso. Quello che, impigrito dalle comodità dell’era moderna e ricattato dalla pay per view che gli consente di seguire la partita in pantofole nel confortevole tepore del salotto di casa, ha progressivamente rarefatto la partecipazione diretta all’evento. Prima ha iniziato a saltare le trasferte e, con il tempo, anche le partite in casa. Alla fine ha deciso di restringere la sua partecipazione ai soli casi topici (playoff, playout, feste oceaniche per una promozione o una salvezza inattese). Anche in ossequio al presenzialismo ossessivo che ha poco a che vedere con la passione.
Adesso, in questi tempi opachi che ci è dato percorrere, è iniziata l’era del tifoso inutile. L’avvento di organismi deputati al controllo dell’ordine pubblico durante partite (Casms, Osservatorio, Questure, Prefetture e quant’altro) ha dato il colpo di grazia alla già labile voglia di calcio che c’era in giro. Biglietti nominativi, tornelli, chiusura dei botteghini ad orari impossibili, divieto di trasferte, settori chiusi, impianti fatiscenti e numericamente rattrappiti ridotti a cattedrali nel deserto. Soprattutto in Lega Pro questo tipo di approccio dirigistico è stata la mazzata decisiva. Gli stadi, salvo qualche rara e meritoria eccezione, sono desolatamente vuoti.
Il fatto è che, secondo il discutibile ragionamento di quanti dovrebbero gestire al meglio il bene comune in tutte le sue manifestazioni, il tifoso non serve più da traino al calcio. Quanto meno non a questo orribile calcio moderno, che ne ha di fatto inaridito tutte le radici. Il tifoso è stato trasformato in un accessorio inutile, se non perfino ingombrante. Meglio tenerlo lontano. Meglio affidarsi a uno spettacolo virtuale. Da giocarsi in grigi e artificiali scenari di cartapesta.
Eppure, come ha correttamente osservato il presidente della Lega Pro Macalli in un’intervista rilasciata qualche giorno fa alla Gazzetta dello Sport, la chiusura degli stadi o di alcuni settori di un impianto, è un vero e proprio obbrobrio che inaridisce la principale fonte dei ricavi del calcio minore. Il botteghino è una delle poche risorse, ma se le gare più importanti vengono vietate ai tifosi, è finita. Se ci sono le rapine in banca si dà la caccia ai rapinatori, non si chiudono le banche”.
Tutto ciò avviene, paradossalmente, in un mondo globalizzato. Nel quale gli spostamenti sono ormai incredibilmente rapidi, resi facili dai moderni mezzi di trasporto. Il che consentirebbero di prendere, all’ultimo tuffo, la decisione di seguire la squadra del cuore. Di farlo sempre e comunque. O tutte le volte che se ne ha voglia, secondo le proprie scelte. Come dovrebbe essere in un paese libero. Oggi muoversi più o meno liberamente è possibile (quasi) a tutti, meno che all’inutile tifoso dell’ormai altrettanto inutile calcio in cui dirigenti opachi hanno trasformato il gioco più bello del mondo.
Da illusi sognatori non ci resta che voltarci indietro. Per recuperare, grazie alla memoria, quei ricordi mai patetici che ci consentono di andare avanti. E continuare a raccontare un calcio triste e infelice nel quale i tifosi, e noi con loro, non si riconoscono più.
Sergio Mutolo – www.calciopress.net

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