La poesia Fratelli d'Italia, messa in musica, fu ai tempi delle guerre
Con la proclamazione della Repubblica (1946)
- Genova, 1827 - Roma, 1849.
Se una figura umana dovesse simboleggiare con l'aspetto d'una
seducente giovinezza il Risorgimento d'Italia, che pure ebbe
stupendi uomini rappresentativi - Mazzini, Cavour, Garibaldi non
si saprebbe quale innalzare e amare meglio che quella di Goffredo
Mameli, poeta a quindici anni, guerriero a ventuno, avvolto a
ventidue nella morte come nella nuvola luminosa in cui gli antichi
favoleggiavano la scomparsa degli eroi.
Stirpe di marinai soldati, figlio d'un comandante di nave da guerra e d'una leggiadra donna che aveva fatto palpitare il cuore giovane di Giuseppe Mazzini, Goffredo è il romanticismo, è il patriottismo, è sopra tutto la poesia che fiorisce sull'azione. Frequenta l'università, prepara i suoi esami di diritto e intanto fiammeggia nel fuoco d'italianità de' suoi compagni, che lo sentono un capo.
Appena giunta a Genova la notizia delle Cinque Giornate parte alla testa d'un manipolo di giovani, si batte nella campagna del '48; s'agita perché non se ne subiscano con rassegnazione le tristi conseguenze militari, mazziniano puro, con la sua Genova impaziente e intollerante verso la Torino monarchica.
E' incerto se correre a Venezia o a Roma.
Si risolve per Roma.
E' di Mameli il telegramma "Venite, Roma, repubblica" in cui si invitava Mazzini a raggiungere la Repubblica Romana.
E' a fianco di Garibaldi, ma vuole prima di tutto trovarsi dove più rischiosamente si combatte.
Ferito a una gamba il 3 giugno in un combattimento nel quale s'era voluto gettare a ogni costo, fu male assistito nell'ospedale dai medici che avrebbero dovuto sollecitamente amputargli la parte offesa e invece tanto tardarono che poi l'operazione non valse più a salvarlo, ed egli spirò il 6 luglio, un mese prima di compiere i ventidue anni, recitando versi in delirio.
Stirpe di marinai soldati, figlio d'un comandante di nave da guerra e d'una leggiadra donna che aveva fatto palpitare il cuore giovane di Giuseppe Mazzini, Goffredo è il romanticismo, è il patriottismo, è sopra tutto la poesia che fiorisce sull'azione. Frequenta l'università, prepara i suoi esami di diritto e intanto fiammeggia nel fuoco d'italianità de' suoi compagni, che lo sentono un capo.
Appena giunta a Genova la notizia delle Cinque Giornate parte alla testa d'un manipolo di giovani, si batte nella campagna del '48; s'agita perché non se ne subiscano con rassegnazione le tristi conseguenze militari, mazziniano puro, con la sua Genova impaziente e intollerante verso la Torino monarchica.
E' incerto se correre a Venezia o a Roma.
Si risolve per Roma.
E' di Mameli il telegramma "Venite, Roma, repubblica" in cui si invitava Mazzini a raggiungere la Repubblica Romana.
E' a fianco di Garibaldi, ma vuole prima di tutto trovarsi dove più rischiosamente si combatte.
Ferito a una gamba il 3 giugno in un combattimento nel quale s'era voluto gettare a ogni costo, fu male assistito nell'ospedale dai medici che avrebbero dovuto sollecitamente amputargli la parte offesa e invece tanto tardarono che poi l'operazione non valse più a salvarlo, ed egli spirò il 6 luglio, un mese prima di compiere i ventidue anni, recitando versi in delirio.
La sua poesia è poesia d'amore e di guerra: pensando a guerre
come quelle, i due più alti temi d'ogni poesia, la donna ideale e la
libertà pura.
I critici, naturalmente, rilevano le imperfezioni artistiche che non mancano.
Ma per quel che v'è, ed è tanto, di vivo e di bello in promessa anche più che in fatto si può dire che, se fosse vissuto, l'Italia avrebbe avuto in lui un magnifico poeta.
Qui si riproducono, naturalmente, il canto indimenticabile Fratelli d'Italia che fu messo in musica del maestro Novaro e che la Repubblica Italiana d'un secolo dopo ha ripreso come inno na zionale nonostante l'elmo di Scipio e la Vittoria schiava di Roma.
I critici, naturalmente, rilevano le imperfezioni artistiche che non mancano.
Ma per quel che v'è, ed è tanto, di vivo e di bello in promessa anche più che in fatto si può dire che, se fosse vissuto, l'Italia avrebbe avuto in lui un magnifico poeta.
Qui si riproducono, naturalmente, il canto indimenticabile Fratelli d'Italia che fu messo in musica del maestro Novaro e che la Repubblica Italiana d'un secolo dopo ha ripreso come inno na zionale nonostante l'elmo di Scipio e la Vittoria schiava di Roma.
Questo brano è tratto da: I Poeti minori dell'Ottocento
a cura di Ettore Janni - BUR 1955
TESTO:
FRATELLI D'ITALIA
(versione originale)
Fratelli d'Italia,
L'Italia s'è desta;
Dell'elmo di Scipio
S'è cinta la testa.
Dov'è la Vittoria?
Le porga la chioma;
Ché schiava di Roma
Iddio la creò.
Stringiamoci a coorte!
Siam pronti alla morte;
Italia chiamò.
Noi siamo da secoli
Calpesti, derisi,
Perché non siam popolo,
Perché siam divisi.
Raccolgaci un'unica
Bandiera, una speme;
Di fonderci insieme
Già l'ora suonò.
Stringiamoci a coorte!
Siam pronti alla morte;
Italia chiamò.
Uniamoci, amiamoci;
L'unione e l'amore
Rivelano ai popoli
Le vie del Signore.
Giuriamo far libero
Il suolo natio:
Uniti, per Dio,
Chi vincer ci può?
Stringiamoci a coorte!
Siam pronti alla morte;
Italia chiamò.
Dall'Alpe a Sicilia,
Dovunque è Legnano;
Ogn'uom di Ferruccio
Ha il core e la mano;
I bimbi d'Italia
Si chiaman Balilla;
Il suon d'ogni squilla
I Vespri suonò.
Stringiamoci a coorte!
Siam pronti alla morte;
Italia chiamò.
Son giunchi che piegano
Le spade vendute;
Già l'Aquila d'Austria
Le penne ha perdute.
Il sangue d'Italia
E il sangue Polacco
Bevé col Cosacco,
Ma il cor le bruciò.
Stringiamoci a coorte!
Siam pronti alle morte;
Italia chiamò.
FRATELLI D'ITALIA
(versione originale)
Fratelli d'Italia,
L'Italia s'è desta;
Dell'elmo di Scipio
S'è cinta la testa.
Dov'è la Vittoria?
Le porga la chioma;
Ché schiava di Roma
Iddio la creò.
Stringiamoci a coorte!
Siam pronti alla morte;
Italia chiamò.
Noi siamo da secoli
Calpesti, derisi,
Perché non siam popolo,
Perché siam divisi.
Raccolgaci un'unica
Bandiera, una speme;
Di fonderci insieme
Già l'ora suonò.
Stringiamoci a coorte!
Siam pronti alla morte;
Italia chiamò.
Uniamoci, amiamoci;
L'unione e l'amore
Rivelano ai popoli
Le vie del Signore.
Giuriamo far libero
Il suolo natio:
Uniti, per Dio,
Chi vincer ci può?
Stringiamoci a coorte!
Siam pronti alla morte;
Italia chiamò.
Dall'Alpe a Sicilia,
Dovunque è Legnano;
Ogn'uom di Ferruccio
Ha il core e la mano;
I bimbi d'Italia
Si chiaman Balilla;
Il suon d'ogni squilla
I Vespri suonò.
Stringiamoci a coorte!
Siam pronti alla morte;
Italia chiamò.
Son giunchi che piegano
Le spade vendute;
Già l'Aquila d'Austria
Le penne ha perdute.
Il sangue d'Italia
E il sangue Polacco
Bevé col Cosacco,
Ma il cor le bruciò.
Stringiamoci a coorte!
Siam pronti alle morte;
Italia chiamò.
Fratelli d'Italia
(testo di Goffredo Mameli - musica di Michele Novaro)
(testo di Goffredo Mameli - musica di Michele Novaro)
Fratelli d'Italia / L'Italia s'è desta / Dell'elmo di Scipio / S'è cinta la testa (1) /
Dov'è la vittoria? / Le porga la chioma (2) / Che schiava di Roma / Iddio la creò.
Dov'è la vittoria? / Le porga la chioma (2) / Che schiava di Roma / Iddio la creò.
Stringiamoci a coorte (3)/ Siam pronti alla morte, / Siam pronti alla morte (4)/ Italia chiamò
Noi fummo da secoli / Calpesti e derisi, / Perchè non siam popolo, / Perchè siam divisi. /
Raccolgaci un' unica bandiera, / Una speme, /Di fonderci insieme / Già l'ora suonò.
Stringiamoci a coorte...
Uniamoci, uniamoci / L'unione e l'amore / Rivelano ai popoli / Le vie del Signore (5) /
Giuriamo far libero / Il suolo natio / Uniti per Dio (6)/ Chi vincer ci può?
Giuriamo far libero / Il suolo natio / Uniti per Dio (6)/ Chi vincer ci può?
Stringiamoci a coorte...
Dall'Alpe a Sicilia / Dovunque è Legnano (7), / Ogn'uomo di Ferruccio (8)/ Ha il cuore e la mano, /
I bimbi d'Italia / Si chiaman Balilla (9)/ Il suon d'ogni squilla / I vespri suonò (10).
I bimbi d'Italia / Si chiaman Balilla (9)/ Il suon d'ogni squilla / I vespri suonò (10).
Stringiamoci a coorte...
Son giunchi, che piegano, / Le spade vendute (11). / Già l'aquila d'Austria (12) / Le penne ha perdute /
Il sangue d'Italia / Bevé col cosacco / Il sangue polacco (13) / Ma il cor lo bruciò.
Il sangue d'Italia / Bevé col cosacco / Il sangue polacco (13) / Ma il cor lo bruciò.
Stringiamoci a coorte...
(1) Cioè ha riesumato l'antico valore dei Romani. Va detto che si tratta dell'Africano, non dell'Emiliano
con cui lo confuse Dario Fo in un suo intervento sul Corriere chiamandolo "criminale razzista".
L'Africano era anzi il nonno dei due più famosi "sindacalisti" dell'antichità, Tiberio e Caio Gracco, morti
nel tentativo di far passare le leggi agrarie.
(2) Qui il poeta si riferisce all'uso antico di tagliare le chiome alle schiave per distinguerle dalle donne
libere che portavano invece i capelli lunghi. Dunque la Vittoria deve porgere la chiome perché le venga
tagliata quale schiava di Roma sempre vittoriosa.
(3) La coorte, cohors, era un'unità da combattimento dell'esercito romano, decima parte di una legione;
nulla a che vedere con la corte.
(4) Qui a tutti tremano le vene dei polsi, altri fanno scongiuri, ma vale la pena ricordare che l'autore fu
coerente con le sue parole.
(5) A dire la verità si potrebbe intravedere in questi versi un sentimento democristiano ante litteram, ma è
nota la religiosità di Mazzini, spesso deriso per questo da Marx con il nomignolo di Teopompo.
(6) "Per Dio" va inteso come un'interiezione (perbacco!) o come invito a un'unione sacra? Più verosimile
la prima lettura.
(7) Ossia la battaglia in cui i comuni italiani uniti in lega e guidati da Alberto da Giussano batterono il
Barbarossa. E qui va detto che Bossi ha toppato scegliendo un eroe che combatte contro i tedeschi, alleato
con il Papa di Roma e non viceversa. Ma si sa che la storia non è il suo forte.
(8) Francesco Ferrucci che guidò i Fiorentini contro Carlo VIII di Francia e che a Maramaldo, rinnegato e
traditore, gridava: "Vile, tu uccidi un uomo morto!".
(9) Attenzione! Qui di fascisti non c'entrano. "Balilla" è il soprannome di Gianbattista Perasso, il ragazzo
genovese che con il lancio di una pietra diede inizio alla rivolta di Genova contro gli austriaci nel 1746.
(10) Si tratta dei Vespri siciliani, rivolta (1282) degli isolani contro i francesi, che poi per stanarli gli
facevano vedere dei ceci e gli chiedevano: cosa sono questi? E loro, non sapendo pronunciare la "c" dolce,
dicevano "sesi", e i siciliani giù botte!
(11) Le truppe mercenarie di occupazione.
(12) L'aquila bicipite, simbolo degli Asburgo.
a cura di Valerio M. Manfredi - tratto da "Panorama" del 2 luglio 1998
a cura di Valerio M. Manfredi - tratto da "Panorama" del 2 luglio 1998
Nessun commento:
Posta un commento